giovedì 13 marzo 2008

Di rafia e di ferro, le “Materiografie”

Nel suo trentennale viaggio nella sperimentazione grafica, Gianni Atzeni, approda alla fusione di due materiali apparentemente incompatibili: la rafia e il ferro. Fibra vegetale bizzosa ma soggiogabile la prima, minerale rigido eppure duttilmente domabile il secondo, entrambi capaci di unire forza e resistenza per vivere insieme un’avventura – per esempio - colorata. A metterli d’accordo è un’intuizione, figlia dell’approfondimento teorico-pratico di un artista che non vede orizzonti finiti nelle tecniche calcografiche, sempre trovando nella mescolanza la potenzialità di eleganti formalismi. La ricerca polimaterica che lo ha guidato nella pittura, nella scultura e nell’installazione non poteva non confluire nella capacità espressiva che più lo affascina: così anche nell’incisione supera i tradizionali attrezzi impiegando elementi di contaminazione fra la matrice metallica e carta da stampare. Non per caso s’intitola “Materiografie” la mostra allestita nello spazio di Arcivernice a Cagliari (in via Baylle 115, fino a sabato): venti opere di piccolo formato che dimostrano fra l’altro come e perché una stampa artistica possa essere replicabile e al tempo stesso irripetibile. Qui l’unicità di un filamento di rafia inchiostrato e schiacciato dal torchio su una lastra d’acciaio fornisce una matrice di per sè moltiplicabile all’infinito, ma irriproducibile perché il modello veste per ogni stampa inchiostri di colori e tonalità differenti. Annodata, attorcigliata, modellata e colorata, la fibra di rafia esaurisce la propria funzione nell’impronta lasciata sul colore di fondo della lastra matrice. Anche la lastra, grezza o arrugginita, subisce interventi elaborativi (graffio, corrosione) che con la colorazione contribuiranno a esprimere l’immagine cercata dall’autore. Il quale interviene ancora con liberi ritocchi sulla carta dopo l’operazione di stampa condotta con procedimenti classici, per stati successivi, pilotati dal virtuosismo. Ciascun esemplare è un pezzo unico, espressione artistica generata da pratiche artigianali e risultato evidente di una tensione protesa a superare lo spazio bidimensionale. Si può dire che l’intero lavoro esecutivo sia parte essenziale dell’opera: una rappresentazione di segno gestuale che scavalca - senza negarlo – l’interesse dell’esito estetico. L’iter della tecnica incisoria di Atzeni è intuibile nella galleria cosparsa di rafia sintetica e affollata di segni di rafia stampata, colori delicati, intriganti fantasie dettate da un’astratismo che sembra trasportato da lontani echi figurativi. C’è un quadro più grande degli altri, verticale, che offre l’immediata percezione della dinamicità degli accostamenti materici nell’opera dell’artista cagliaritano. Come l’impronta della materia sia "realmente visibile in questa serie tonale di grafiche" è sottolineato da Massimo Antonio Sanna. Il percorso di Atzeni sembra giunto a un momento di sintesi, osserva il critico ricordando che i lavori "sono frutto di un lungo travaglio che parte da un’altra tiratura in maniera nera, per poi dar vita al discorso di materiografie con la stampa". Può aiutare, nell’interpretazione di questo giudizio, una visita al palazzo della Frumentaria di Sassari, che ospita un’interessante rassegna di moderni grafici italiani: Atzeni è presente con due significative opere elaborate in “maniera nera” e incentrate sul capriccioso ricciolo di rafia.
Testo di Mauro MANUNZA

lunedì 10 marzo 2008

venerdì 7 marzo 2008

MATERIOGRAFIE

L’impronta della materia è realmente visibile in questa serie tonale di grafiche di Gianni Atzeni, ; visibile, in perfetta presenza e/o assenza, perché, questa matericità, egli la manifesta direttamente con l’inserimento della rafia o perché la fa dedurre dal procedimento dalla stampa.
In questo modo egli propone un lavoro che è direttamente correlato alle altre precedenti sue espressioni nelle arti visive.
Atzeni ha una storia, oltre che di incisore, di assemblatore, installatore (quasi scultore nelle installazioni più grandi) e di pittore poverista. Tutto ciò sembra giunto, ora, a un momento di sintesi, di interazione tra le varie attività artistiche che gli sono più congeniali; nel senso che sta dando alla grafica un nuovo flusso di inserti, formali e concettuali, che sono quasi esclusivamente processuali.

Queste opere, di cui parliamo, sono frutto di un lungo travaglio che parte da un’altra tiratura in maniera nera, per poi dare vita al discorso di Materiografie con la stampa.
Stampare fino all’esaurimento del colore della matrice, su altri fogli di carta, su altri formati, con altri tagli.
Così avviene la trasposizione, lo spostamento estetico: il passaggio dalla materia pittorica, dell’oggetto trovato all’incisione, dall’oggetto trovato al processo trovato.
Ciò che prima era bene evidenziare nell’oggetto, nel quadro, nell’opera finita, ora, viene dato dall’iter che Atzeni segue. L’opera non è più solo quello che appare, ma ciò che viene fatto per eseguirla.

Tutto il processo che va dall’ideazione sino al compimento; rendendo così edotto il fruitore su quali siano le pratiche che portano alla realizzazione
dell’acquaforte così trattata.
L’opera è quindi unica, non solo perché è un monotipo, ma perché è unico il processo, per ogni singolo pezzo, che Atzeni ha ideato per venire a capo di una soluzione formale attuale e nuova per sperimentare nuove strade che il medium offre.
Testo di Massimo Antonio SANNA